martedì 14 maggio 2013

Cronache acide di una lettrice (decisamente) incazzata: il 1945 è l'anno più trendy della seconda guerra mondiale.

“Zydzi sa rasa, ktora musi ulec kompletnemu zniszczeniu”
(Gli ebrei sono una razza che deve essere totalmente sterminata)
Hans Frank, governatore generale nella Polonia nazista occupata - 1944
“Musimy uwolnic niemcki narod od polakorw, rosjan, zydow i cyganow" 
(Dobbiamo liberare la nazione tedesca dai polacchi, i russi, gli ebrei e i nomadi) 
Otto thierack, ministro della Giustizia del Terzo Reich
Queste sono due frasi che ho letto ad Auschwitz, su due pannelli neri alti quanto la stanza dove erano contenuti, accanto ad una parete sulla quale c’era una mappa dell’Europa con segnate sopra tutte le principali città che inviano ebrei e prigionieri al campo.
Oslo, Narwa, Wiliandi, Ryga, Krolewiec, Kowno, Augustow, Grodno, Witbsk, Hamburg, Bremen, Haga, Szczecin, Wolkowysk, Mink, Bialystok, Ciechanow, Bydgoszcz, Inowroclaw, Poznan, Berlin, Westerbork, Apeldoorn, Hertogenbosch, Vught, Melchen, Bruxelles, Essen, Bochum, Drancy, Saarbrucken, Koblenz, Bobigny, Paris, Pithiviers, Karlsruhe, Praha, Dresden, Magdeburg, Terezin, Katowice, Wroclaw, Opole, Lodz, Radom, Lublin, Zamosc, Tarnow, Krakow, Lwow, Broyslav, Sered, Brno, Cadca, Augsburg, Munchen, Wien, Graz, Budapest, Clui-Napoca, Bucuresti, Klagenfurt, Lyon, Bolzano, Verona, Trieste, Fossoli di Carpi, Belgrad, Roma, Salonicco, Korfù, Atene e Rodi.
Settantaquattro città, molte delle quali non sapevo nemmeno esistessero.
Da questi punti partivano più o meno regolarmente convogli carichi di persone che arrivavano ad Auschwitz e, successivamente, a tre km di distanza, nel complesso di Birkenau.
Non appena un convoglio arrivava al campo, avveniva la “selezione”, una mera formalità che però decideva chi era abile al lavoro e chi invece doveva andare direttamente alle camere a gas. Normalmente, solo il 25% dei deportati aveva la possibilità di passarla. Non venivano fatte distinzioni tra uomini, donne e bambini, a tutti quanti toccava la stessa identica sorte qual’ora passassero la selezione: venivano marchiati, registrati e fotografati prima e dopo la rasatura.
E poi…
E poi la storia ci ha raccontato in modi diversi quello che accadeva ai detenuti: erano costretti a lavorare fino alle stremo per numerose ditte tedesche, tra cui la I.G. Farben –produttrice del Zyclon B, il pesticida che veniva utilizzato nelle camere a gas-, la Metal Union e la Siemens.
I più fortunati, arrivavano a sopravvivere per due, tre mesi al massimo, gli altri morivano dopo tre settimane, un mese, a causa degli stenti, dei maltrattamenti, delle condizioni del campo, delle epidemie e degli abusi delle SS.
Ma tentare di scrivere l’orrore che è avvenuto in quei posti è una cosa che va al di là delle mie reali capacità, nemmeno in una vita intera potrei esprimere la tragedia, il senso di disgusto, la crudeltà che si respirano tra quelle mura.
Dire che sono rimasta scioccata, dalla visita ai due campi, è poco. Come ho messo piede nella prima baracca di Auschwitz, che a prima vista può sembrare un normalissimo villino a due piani costruito con mattoni rossi, ho iniziato a sentirmi incredibilmente fuori luogo. Man mano che passavo per quei corridoi, man mano che entravo nelle stanze e cercavo di capire cosa ci fosse scritto nelle didascalie sotto le foto con il mio inglese non proprio perfetto, mi si formava un nodo in gola che non mi ha più lasciata per il resto della giornata.
Ero intontita, l’aria stessa che respiravo sembrava diversa, come se fosse satura dei fantasmi delle persone uccise. Stentavo a credere a quello che vedevo.
Sono passata davanti a pareti ricoperte da interminabili elenchi di nomi nella baracca che è ospita il memoriale olandese, ho guardato fotografie con le facce terrorizzate di bambini che avranno avuto al massimo tre anni, bambini con occhi che avrebbero dovuto essere felici, pieni di gioia e voglia di vivere, e che invece erano pieni di paura. Bambini sottoposti a esperimenti medici, ridotti a vegetali, uccisi dalle dosi di veleno che iniettavano loro in corpo.
Ho visto ingrandimenti di fotografie di donne che pesavano a malapena trentacinque kg.
Foto che testimoniavano esperimenti di ipotermia: uomini nudi e denutriti che venivano lasciati all’aria aperta, d’inverno, immersi in vasche piene di ghiaccio per vedere quanto a lungo resistevano prima di morire.
Sono passata attraverso stanze piene di ciocche di capelli ammucchiate fino a raggiungere il soffitto, ciocche di capelli che appartenevano a donne uccise nelle camere a gas.
Stanze piene di occhiali rotti.
Stanze piene di valigie, tutte con un nome e un cognome e un indirizzo scritto sopra.
Stanze piene di stampelle, busti, protesi per gambe.
Stanze piene di scarpe di bambini.
C’erano baracche intere con le pareti tappezzate di fotografie di deportati con scritta sotto la data di nascita, la data di arrivo al campo e la data di morte.
Ho imparato che in media, un uomo arrivato nel ’43 ad Auschwitz sopravviveva per un mese, un mese e mezzo al massimo.
Una donna, arrivata nello stesso periodo, non andava oltre le due settimane.
Ho visto che i capelli delle donne uccise venivano riutilizzati per tessere tessuti.
Per non parlare delle celle punitive.
Celle costruite apposta per lasciar morire di fame chi vi stava dentro.
Celle costruite per far morire soffocate le decine di persone che ci venivano rinchiuse.
Celle larghe novanta cm per novanta, altre due metri, dove rinchiudevano quattro persone alla volta, persone che non erano destinate a marcire lì dentro, no: ci passavano la notte, senza mangiare, in piedi, al buio, schiacciati gli uni contro gli altri, per poi andare a lavorare il giorno dopo. Così avanti, ogni giorno, fino a quando non morivano.
E potrei andare avanti per ore, ad elencare quello che ho visto lì dentro.
Quando ero al liceo, sono stata vice-redattrice del giornalino scolastico, il 5+ (che tra parentesi ha appena compiuto cinquant'anni di vita, tanti auguri <3). Questo qui sopra è una parte di un'articolo che ho scritto non ricordo se al principio della quarta o della quinta, di ritorno da un viaggio nell'Europa dell'est che mi ha portata, come potete facilmente intuire, anche in Polonia. Qui, su mia logorante e insistente richiesta, abbiamo visitato il complesso di campi noto al secolo come Auschwitz. Non c'è da stupirsi, per la media ero un'adolescente abbastanza atipica con il pallino della storia; che preferissi visitare un campo di concentramento piuttosto che andare per negozi a Cracovia non era un'anomalia così impensabile nel quadro generale della ragazzina che sono stata. 
Quello che, a ragione, vi chiederete voi è cosa centri tutto questo con il mirabolante mondo delle ficcyne che viene trattato in questo angolo di web. Vorrei dirvi che non centra nulla, che mi è preso lo svarione moralista e vagamente amarcord, che voglio sono pavoneggiarmi in allegria di quanto brava a scrivere fossi già nel lontano 2007/2008 (proprio non ricordo), che siccome il blog è mio e della Cee allora ci scriviamo quello che ci pare e piace senza dover render conto a nessuno, ma non è così. 
Come avete già avuto modo di leggere, la seconda guerra mondiale è un contesto storico che fa presa sui cuori delle Directioners al punto da spingerle a fantasticare su come sarebbe stato bello se Liam fosse stato una SS ad Auschwitz e si fosse innamorato di una bellissima prigioniera ebrea lì detenuta nel biennio del '44-'45. Raccapricciante, inopportuno e affatto rispettoso; un trionfo di falsi storici e ignoranza che Dio ce ne scampi scatenando un morbo letale e incurabile su questa generazione di capre che si ostinano ad intasare di stronzate un mondo che di stronzate ne è pieno. 
Quello che ancora non sapete, a meno che non abbiate di recente seguito le discussioni con @ihatedanni, @CoerenzaBat, @altemaree e @lanasdaughter, è che il 1945 è un anno ampiamente sfruttato da uno dei peggior fandom evah. Se aprite l'EFP e fate sapiente uso della funzione "cerca", inserendo come criterio "titolo" e digitando 1945, ai vostri occhi si spalanca un mondo di possibilità che sarebbe meglio, a conti fatti, non scoprire mai.
Erano passati ormai tre anni da quando Sophie lo aveva perso: aveva perso il suo migliore amico, il suo grande amore.
Harry Styles, un ragazzino di quindici anni appena compiuti quando lo portarono via da lei.
Ricorda ancora il suo profumo alla vaniglia, i suoi occhioni verdi che la facevano intenerire dopo una litigata e quei ricci ribelli.
Si ricorda ancora delle sere in cui lui si sedeva sul divano e lei si sdraiava poggiando la testa sulle sue gambe mentre giocava con una ciocca di capelli e lui le accarezzava il viso.
Erano così loro; si capivano con un semplice sguardo o un sorriso sul volto.
Ricorda ancora il giorno in cui capì di amarlo: aveva appena compiuto 13 anni e lui le baciò la guancia davanti a tutti facendola arrossire.
Al solito, quando si tratta di one-shot, l'autrice-directioner sente la necessità di introdurre i personaggi in due righette e sbrigare così il complesso reticolo di relazioni che li lega. CHIARAMENTE Harry Styles è un tipico nome ebreo. CHIARAMENTE la famiglia Styles viene nascosta dalla famiglia di Sophie nel momento in cui la persecuzione raggiunge il suo culmine. CHIARAMENTE quando arrivano le SS si prendono solo la famiglia Styles senza ripercussioni sulla famiglia di Sophie. Manco a dirlo Harry fa in tempo a sfiorare la mano della sua amata con una carazza come non fosse appena stato prelevato a forza dagli esponenti militari di un regime che ben ha fatto intendere cosa deve esserne della "razza" (tra virgolette perché mi sembra stupido parlare di razza a prescindere) ebraica. Mi chiedo però come facesse Sophie a sapere dove avessero deportato il suo amore con tanta certezza, Bergen-Belsen in fondo non era che uno dei troppi campi di concentramento situati nella zona controllata dal Reich e non c'erano criteri come la vicinanza geografica a determinare l'assegnazione a questo piuttosto che a quel sito. La gente spariva e basta, da un campo veniva spostata all'altro, altrimenti sarebbe stato poi facile per i superstiti rintracciare i propri cari o cercare di farlo. Evidentemente questi dettagli sono assolutamente marginali per la nostra autrice che non si preoccupa neppure di dare una qualsivoglia soluzione di continuità al suo scadente elaborato: dal 28 febbraio 1942, in tre righe, arriviamo ad un fantomatico futuro nel quale si sentono cadere le bombe e si sa che sono gli americani. Apparte che, signorinella bella, Bergen-Belsen l'hanno liberato gli inglesi, mi spieghi com'è che dopo anni di bombardamenti costanti e molto più che quotidiani al fine di prostrare letteralmente la nazione e il popolo tedesco una squinzia da quattro soldi riesce a distinguere solo dal suono delle bombe la liberazione? E come faceva suo padre a sapere cosa succedeva nel campo,"dove ebrei invecchiavano giorno dopo giorno, minuto dopo minuto, quando neppure nei paesini limitrofi ai campi più grandi le persone erano pienamente consapevoli del massacrato perpetrato? Non si andava in gita, in visita, come si fa oggi eh. Tanto più che dubito fortemente un collaboratore, simpatizzante degli ebrei, che ha nascosto una famiglia intera in casa sua godesse di tanta libertà di movimento. Ma manco per il cazzo, fija mia. Manco-per-il-cazzo. E lascia anche che ti dica che gli aerei americani non atterravano nel bel mezzo di città devastate dai bombardamenti. Non perché non avevano sbatti di farlo, ma perché mi spieghi come fa un aereo militare ad atterrare in piena città? E soprattutto Sophie, apparentemente tedesca, ti assicuro io che non biascicava una sola fottutissima parola di inglese e nella realtà si sarebbe ben guardata dal correre incontro al soldato NEMICO supplicandolo di portarla a Bergen-Belsen.
"La prego, ho bisogno di Lei." Il soldato udì la sua voce tremante e si addolcì.
"Che cosa Le serve?" domandò poggiando il fucile sul sedile posteriore dell'aereo.
"Ho bisogno di andare al campo di Bergen Belsen. Noi dobbiamo salvare quelle persone!" ma il ragazzo la guardò confuso senza capire.
"Signore, in quel campo ci sono degli ebrei! Devo salvare il ragazzo che amo!" e le lacrime si liberarono sul suo viso.
Il ragazzo si avvicinò a lei e la abbracciò dolcemente, ascoltando i singhiozzi di speranza che erano rivolti a lui.
"Forza, non c'è tempo da perdere." le sorrise prendendole la mano e correndo verso l'aereo militare.
Mannaggia a tutti quelli che non hanno mai pensato di fermare il primo americano passato per strada per chiedergli di essere portati in volo dai loro cari prigionieri! Cioè, gente proprio stupida no? Basta così poco a mobilitare una truppa dell'esercito americano che palesemente non ha nulla di meglio da fare che ascoltare i piagnistei incomprensibili, in lingua straniera, della prima passata per strada! Ah, fossero stati tutti come Sophie la storia avrebbe preso una piega ben differente, ve lo dico io. Poi vabbeh, i libri che mi hanno insegnato come i tedeschi si siano ben guardati dal rimanere nei campi man mano che il loro territorio veniva invaso, costringendo i prigionieri e i forni a marce forzate, portando mandrie umane nei boschi e fucilandoli lì a sangue freddo, hanno tutti torto. Perché è tedeschi sono rimasti. Non hanno fatto nulla per nascondere i loro orrori, anzi. Sono rimasti lì a farsi umiliare dai sorrisi dei prigionieri che gioiscono, e fanno festa. Persone che non avevano neanche la forza di trascinarsi in piedi, ma son tutti dettagli insignificanti, LA STORIA ESISTERE PER ESSERE INTERPRETATA E COSA IMPORTA CHE LA TUA STORIELLINA DEL CAZZO SIA UN INSULTO A TUTTE LE PERSONE CHE SONO MORTE A BERGEN-BELSEN? Che poi sei pure doppiamente capra, gli One Direction sono INGLESI. Non americani. Perché li hai fatti diventare americani? Se fossi stata fedele alla loro vera nazionalità almeno una cosa nella tua aberrazione narrativa sarebbe stata corretta. #Einvece.
Ma non finisce qui, non c'è davvero limite al peggio: Harry è ferito, una SS gli ha sparato alla gamba (macheccazz??), va trasportato d'urgenza in America, in elicottero (macheccazzzzz?????), perché in tutto il Reich non è rimasto un solo ospedale funzionante. Ora vorrei fare del facile sarcasmo dicendo che era uso in comune in Germania abbattere i propri soldati feriti proprio a causa della TOTALE assenza di strutture e personale ospedaliero ma sono cresciuta con l'idea che su certe cose non si debba scherzare neppure per sbaglio. Mi dispiace, niente battutine, solo un minuto di silenzio per la stupidità di questa aspirante scrittrice che ha ricevuto ben 25 recensioni (Glitter è ferma a 14, per amor di cronaca) insultando il periodo storico più buio e delicato della contemporanea dell'uomo solamente per aver utilizzato il nome "Harry Styles" un paio di volte. LAMMERDA. E tutti gli spazi dopo la punteggiatura li ho dovuti inserire io, per di più.
Non che ci vada molto meglio con il secondo fenomeno che l'EFP propone nella sezione One Direction: stesso titolo, ma protagonista l'italianissima Anna deportata a Mauthausen. Deportata su un camion che porta scritto sulla fiancata il nome del campo, dove viene rapata e tatuata.
- Quanti anni hai? Come ti chiami? - mi domandò
-Ho Diciassette anni e mi chiamo Anna Terracina - risposi. Mi girò intorno e scrutò attentamente il mio corpo. Ero una ragazza di corporatura esile, alta un metro e settanta centimetri e con il classico viso da asiatica.Avevo la pelle candida al contrario delle altre ragazze del mio popolo
- Tu andrai ai lavori terreni - disse scrivendo sul foglio di carta. Fece un cenno al ragazzo con i capelli ricci e quest'ultimo mi prese, con solita delicatezza, e mi condusse fuori.
- Dovrai rimanere qui almeno due o tre giorni, poi ti porterò via - mi disse, annuii - adesso vai in quel posto, li si terranno i lavori che ti verranno assegnati - continuò. Lo salutai con un cenno del capo e mi diressi dove mi aveva indicato. Arrivata, gli uomini mi squadrarono da capo a piedi, ricevendo dei sorrisi maliziosi che mi fecero paura.
- Mi hanno affidata ai lavori terreni - dissi seria in tedesco. In quel momento mi facevo paura per la mia freddezza e per il non essermi disperata ne spaventata.
- Oh, ma che bel corpo sprecato per i lavori terreni - mi disse uno di loro avvicinandomisi.
- Allora, prendi una zappa e comincia a zappare - disse uno di loro indicandomi un capannone dove vi erano gli attrezzi. Annuii e mi diressi verso il capanno. Giunta, presi un attrezzo ed andai a fare il mio dovere. Erano le 7:30 del mattino, lo dedussi dalla posizione del sole.
Perché la posizione del sole è chiaramente un'indicatore preciso e affidabile dell'ora, perché lei ha il classico viso da asiatica ed è nata in Toscana, perché le SS si salutano con un cenno del capo e lei ovviamente parla tedesco oltre ad essere un'ebrea appartenente ad una delle poche famiglie scampate alla stagione di deportazioni in Italia così a lungo. E io sono Miranda Kerr, ma quello che ancora non vi ho detto è che la spia britannica Harold, infiltrata nel campo, le ha promesso di portarla in salvo. Perché ovviamente l'ha vista e si è innamorato di lei, criterio efficacissimo nel decidere che lei è meritevole di salvezza mentre i trenta/quaranta bambini con cui divide la baracca no, meglio che si facciano le ossa per un altro po' e rimangano lì. Il giorno della fuga la nostra Anna ha la sfiga di imbattersi proprio nella guarda che l'ha squadrata da capo a piedi che la coglie in flagrante mentre aspetta il suo eroe.
- Dovrai avere una punizione per questo - disse girandomi intorno. Deglutii e misi ritta la schiena.
- Qu-quale pun-puniz-zione s-signore? - domandai terrorizzata.
- Concedimi il tuo corpo - disse accarezzandomi una guancia. Venni percorsa da brividi di paura.
- N-no - risposi acquistando un po' di coraggio
- Come osi rispondermi di no! - esclamò dandomi una sberla in pieno viso. Rimasi ferma al mio posto, senza parlare.
- Se non me lo concedi, lo prenderò con la mia forza - disse prendendomi di peso. Iniziai a terrorizzarmi davvero questa volta. Mi dimenavo, ma più lo facevo più lui stringeva la presa sui miei fianchi, facendomi male. Mi portò in una capanna ( sicuramente quella dove alloggiava lui ) e mi lanciò sul materasso.
- T-ti p-prego n-non fa-farmi d-del ma-male - singhiozzai impaurita.
- E perchè non dovrei usufruire del tuo bel corpo? - rispose malizioso mettendosi sopra di me
- T-ti prego - singhiozzai di nuovo. L'uomo non mi ascoltò ed incominciò a sbottonare la camicia del mio pigiama. Dopo aver finito con quella passò anche ai pantaloni, ed io rimasi completamente nuda, se non per le mutande che poi tolse.
- T-ti scon-scongiuro, n-non f-far-farmi n-ni-niente - lo pregai, ma invano. L'uomo mi aprì le gambe ed entrò in me con spinte molto veloci.
- Ti-ti preg-go bas-basta! M-mi f-fai male! - gemetti dal dolore.
- Zitta cagna ebrea - mi rispose mordendomi il collo. Quando venne, uscì da me.
- Ora vestiti - mi ordinò. Strisciai dolorante e grondante di sangue verso i miei vestiti, che poi indossai.
- Adesso vattene - mi disse. Annuii ed uscii. Chiusa la porta camminai piena di dolori verso la capanna dove dormivo.
Quando stavo per entrare nell'abitacolo una mano mi prese il polso. Mi girai impaurita di scatto e vidi una folta chioma di ricci.
- Eccomi - mi disse.
- Come facciamo? - gli domandai piangendo.
- Perchè piangi? - mi domandò asciugandomi le lacrime. Gli indicai la parte sotto del pigiama e sgranò gli occhi alla vista del sangue.
- Hanno usufruito del mio corpo - dissi vergognandomi.
- Non lo faranno mai più, adesso scappiamo - mi disse Harold prendendomi per mano
Hanno usufruito del suo corpo. Dovrebbe ringraziare che non l'ha fucilata seduta stante, per quel che mi riguarda. La facilità sconvolgente con cui riesco a scappare, poi, mette in luce il fatto che a lei faccia troppo male (cosa non si sa, possiamo solo immaginarlo) per riuscire a salire nel camion da sola. E le fitte al ventre che prova secondo me sono un aborto spontaneo da gravidanza istantanea dovuto allo stupro subito. Tanto qua la coerenza non è di casa, quindi spariamola pure grossa, tanto lei dopo aver dormito una settimana in ospedale non ricorda una mazza di quello che è successo e può tranquillamente stare in pace qualche mese in attesa che Harry si innamori di lei e, dopo averglielo chiesto, le doni un bacio.
Cosa importa se è storicamente impossibile che Firenze fosse ancora occupata nel '45 quando con la fine d'agosto del '44 era già stata liberata; se è impensabile che una famiglia d'ebrei scampati ai rastrellamenti se ne stesse beatamente alla luce del sole e non rintanata sotto terra, in luoghi infimi che manco i topi, nel costante terrore che uno starnuto, uno scricchiolio o i loro stessi protettori potessero tradirli. Chissenefrega se una spia inglese infiltrata a Mauthausen non è mai esistita, chissenefrega se la fuga in camion sarebbe stata assolutamente impossibile vista la configurazione, la struttura e il funzionamento del capo. CHISSENEFREGA SE LA GENTE Lì CI è MORTA DAVVERO E TU INFANGHI IL LORO RICORDO, LUCRI RECENSIONI SULLA LORO MORTE MOSTRANDO LA PIù ASSOLUTA INCAPACITà DI RISPETTARLA.
Ora io lo so che suonerà estremamente cattivo da parte mia, che in fondo anche io ai miei inizi ho prodotto la mia buona dose di stronzate e una ficcyna idiota (nella quale però sarebbero morti tutti) con una storia d'amore indegna tra un Benji Price versione SS e una bionda prigioniera l'ho immaginata senza mai arrivare a scriverla a causa di tutte le remore che ho sempre avuto nel trattare l'argomento, ma certa gente andrebbe interdetta dall'EFP in maniera permanente. O quantomeno vorrei esistesse un bottone, un form, un qualcosa tramite cui segnalare questo genere di produzioni che non solo non hanno una trama e uno stile ma sono pure estremamente offensivi nella superficialità con cui piegano una pagina vergognosa dell'umanità agli scopi ludici di un fandom indecente. 
Ma sopra ogni altra cosa vorrei che tutte queste ragazzine che piangono davanti a queste quattro righe in croce senza arte né parte venissero prese in blocco e spedite in un campo a toccare con mano la realtà delle baracche, a vedere con i loro occhi i capelli trasformati in tessuro, a respirare la pesantezza dell'aria e a sentire sulla loro pelle il calore asfissiante dell'estate polacca e il gelo assoluto dell'inverno. Vorrei che qualcuno aprisse loro gli occhi e le facesse veramente vergognare, perché a segnalare le incongruenze (e ci abbiamo provato in molto) non si ottengono che giustificazioni balbettate senza interesse e convinzione. E dove le buone maniere falliscono, non è il caso di gettare la spugna ma di adottare i metodi cattivi. Certe cose non andrebbero scritte. Certe cose vanno lette e imparate da chi le ha vissute. Certe cose non dovrebbero essere piegate alla logica del "scrivo in questo fandom perché so che prendo recensioni". Certe cose, care bambine stupide e ignoranti, semplicemente non vanno toccate. Vanno rispettate e basta, cosa che voi non sapete fare.
Sono una stronza arrogante che vi sputa giudizi in testa, lo so, ma se è questo che dovete scrivere allora è meglio che non scriviate affatto. E questo si, dovevo proprio dirlo. Cazzo.

Qui e qui il link sull'EFP.


11 commenti:

  1. Avevo compiuto diciotto anni da due giorni quando il peso della storia mi è caduto addosso, stordendomi. Ho vagato per Dachau, baracca dopo baracca, di fronte all'enormità e al silenzio più assordante. Mi sono chiesta come in un luogo meraviglioso, immerso nel verde delle Alpi, possa essere stato progettato un campo come quello di Ebensee, oggi luogo pieno di casette da villeggiatura costruite sopra i crematori e le fosse comuni. Ho visto la misera targa che è rimasta a Gusen e mi sono domandata perché cancellare lo scempio, anziché urlarlo al mondo intero. Ho pestato gli scalini della morte di Mauthausen accanto a Mario, domandandomi come si possa sopportare tutto questo senza impazzire, anzi, riprendere in mano la propria vita e mai piangersi addosso. Ho pianto, vergognandomene, solo a Trieste, piena di sentimenti che chiedevano di essere sfogati per non scoppiare.
    Ho passato mesi a prepararmi a quel viaggio, incontrato persone, letto libri, svolto ricerche e scritto temi, pur di essere pronta a tutto quello che quei sette giorni mi avrebbero lanciato in faccia. Ma la verità è che non ci si può preparare a tanto, non ci si prepara all'orrore. Non importa quanto ci si provi. Non importa quanto ci si documenti.
    Da quei giorni mi sento investita di un ruolo importante, sento di doverlo a chi c'è stato e ci ritorna ogni anno per noi, per far sì che tramite i loro racconti quei piani non vengano più alla luce, e mi ci sento ancor più da quando lui è morto, un anno e mezzo fa. Difendo la memoria e non mi importa di apparire rompiballe, cagacazzo e rompicoglioni. Dovremmo baciare la terra su cui camminiamo per non esser vissuti in quel periodo e odio queste gallinelle che per una recensione piegano ai loro scopi qualcosa di così importante e delicato, un tema che tutti dovrebbero studiare, non perché lì son morti degli ebrei o dei bambini. Perché lì si progettava lo sterminio del'essere umano e nessuno era mai arrivato a tanto.
    Dovrebbero portare rispetto, tanto. E studiare, che aprire un libro di storia fa solo bene.
    E vaffanculo, cazzo.

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    1. Ci siamo già dette tutto, e anche troppo, a riguardo.
      Ci siamo pure beccate il megaflame, e non hai successo se almeno qualcuno non ti odia.
      Il resto è fuffa, ma condivido per l'ennesima volta ogni tua parola.

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  2. Questa recensione mi ha a dir poco tolto le parole di bocca.
    Hai espresso esattamente ciò che penso, sebbene non sia mai visitato un campo di concentramento.
    Nell'era in cui il negazionismo dell'Olocausto si fa sempre più pesante, perché siamo lontani da quei tempi e l'aria cambia anche ad Auschwitz, perché la gente ora non percepisce più quell'aria di terrore, perché ora sembra assurdo che una cosa del genere sia mai accaduta, sembra quasi di essere fin troppo liberi.
    I fatti cominciano a svanire nella memoria corta dell'umanità e sfumano, diventano grigie nebbioline con qualche ombra, e partono le sentenze «Mussolini non ha fatto solo cose cattive», «Il fascismo non era tanto male», «Hitler amava gli animali».
    Questi sedicenti storici sottolineano con falsa neutralità quei dettagli letteralmente inutili che contribuiscono a distorcere la visione di quelli che sono e saranno sempre stati dei regimi, regimi di terrore.
    Mussolini, Hitler, Stalin, Mao...
    E ad oggi qualcuno, grazie all'evanescenza dei ricordi, si approfitta di dire anche che ciò non è mai accaduto e ne strumentalizza il fantomatico mito per interessi personali, cause politiche proprie che non hanno nulla a che vedere con lo Stato d'Israele oggi o il conflitto palestinese, il potere statunitense o altro.
    Queste sono conseguenze di mali posti al di sopra, indipendenti, perfetti.
    Mali dei quali le vittime non sono solo gli ebrei, ma anche gli omosessuali, i disabili, la libertà di pensiero, l'umanità tutta.
    Qui riconosciamo il nostro stesso ruolo di vittime e carnefici, siamo stati noi, i nostri nonni, a farsi del male da soli.
    Ora noi non stiamo facendo altro che liberare la strada per una futura ricaduta in questo Inferno Terrestre, dubitando della Shoah.
    Le vittime dell'Olocausto finiranno per diventare dei miti: prima come gli abitanti dell'Isola di Pasqua, poi come i vampiri, poi come gli dèi dell'Olimpo.

    A questo contribuiscono le adolesceme.

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    1. La mia unica speranza è che le adolesceme non diventino delle emerite deficienti da adulte, ma rinsaviscano almeno in parte.

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  3. Hai ragione su TUTTO. Vorrei anche aggiungere che prima di scrivere, qualunque cosa vogliano scrivere, queste bimbette dovrebbero magari anche imparare l'italiano...i lavori TERRENI?! Chi cazzo li ha mai sentiti i lavori terreni??

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    1. Sicuro qualche insegnante di religione o comunque qualcuno che quelle cose le ha vissute di prima persona. Siamo noi gli ignoranti, del resto, loro si documentano eh!

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  4. Questo è senza dubbio uno dei migliori post che mi sia capitato di leggere da molto tempo a questa parte. Non ho visitato Auschwitz ma sono stata alla Risiera di San Sabba in occasione della giornata della memoria del 2008, ed è stata una delle esperienze più traumatiche della mia intera esistenza. Leggere le lettere dei detenuti che sapevano non sarebbero mai tornati a casa, vedere quelle celle minuscole, il forno crematorio, mi ha lasciato un magone che non avevo mai provato in vita mia. Ho trascorso l'intera commemorazione (essendo il 27 gennaio, era stata organizzata una sorta di parata di associazioni rappresentati quei gruppi discriminati dalla politica nazionalsocialista: ebrei della comunità locale, Arcigay eccetera) con le lacrime agli occhi.

    Io non nutro alcuna stima per il cosiddetto fandom delle Directioners, ma non pensavo che la mia opinione di loro potesse ulteriormente abbassarsi. Non ero a conoscenza del fatto che strumentalizzino il periodo più buio della storia occidentale solo per assecondare le loro fantasie su cinque bamboccetti. Giustamente scrivi "Certe cose vanno lette e imparate da chi le ha vissute. [...] Certe cose, care bambine stupide e ignoranti, semplicemente non vanno toccate. Vanno rispettate e basta, cosa che voi non sapete fare.". Diceva Confucio che bisogna studiare la storia se si vuole prevedere il futuro. Ecco, senza scomodare il futuro, viviamo in un presente in cui ragazzine delle medie augurano la morte a chiunque esprima l'opinione secondo cui gli One Direction non siano tutto questo gran che. Ho addirittura letto di directioners che auguravano ai loro detrattori di finire nelle camere a gas, di venire sterminati come i nazisti hanno sterminato gli ebrei. Ora, mi chiedo, come è possibile che siamo arrivati a questo punto? Com'è possibile che ragazzine di dodici, quattordici, sedici anni siano guidate solo dagli ormoni impazziti e non abbiano un briciolo di coscienza? Perché nessuno gli fa capire che la storia non è solo una materia come un'altra da studiare a scuola perché è obbligatorio ma lo strumento con cui imparare a leggere la realtà che ci circonda? Adolescenti siamo stati tutti, ma io non mi ricordo questo degrado intellettuale, quando alle elementari le mie amiche stravedevano per le Spice Girls o i Basckstreet Boys. Emblematica la conclusione a cui è giunto Riccardo21kpo nel suo commento. Dimenticando, o non avendo piena consapevolezza di ciò che è stato, rischiamo soltanto di gettare le basi per perpetuare nuovamente orrori simili.

    Di nuovo complimenti, è un post illuminante.

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    1. Ci sarebbe troppe cose da dire, troppi santi da scomodare e troppe energie da spendere per trovare una risposta che sia anche solo accettabile ai perché che si sollevano tutte le volte che qualcuno ha a che fare con questo fandom.
      Nel mentre, sono felice che qualcuno la pensi come noi e ti ringrazio per avercelo fatto sapere.

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  5. Sono venti minuti buoni che penso a come iniziare questo commento, ma non trovo le parole.
    Non trovo parole per aver osato usare uno dei periodi più bui della storia degli ultimi anni per delle fottute recensioni di merda. Non trovo le parole perché non sanno che cazzo significa tutto ciò; probabilmente a scuola nemmeno si sono applicate nello studiare questo periodo storico. Non trovo le parole perché io in quei campi di concentramento c'ho messo piede ed è stata una delle situazioni più brutte ma significative della mia vita. Non trovo le parole per il rispetto che non gli hanno insegnato i loro genitori.
    Ho sempre pensato che fossero stupide, non lo nego, ma pensavo fosse una stupidità innocua (augurare la morte agli altri non è così innocuo; o dire che ci si autolesiona nemmeno ma vabbè, ci si può passare sopra perché sono piccole e stanno crescendo... uno pensa che poi capiranno!). Ma questo no. Questo davvero, è troppo anche per loro.
    Vorrei dire un altro milione di cose, ma vi giuro... non le trovo davvero le parole per esprimere il mio sdegno.

    xo,
    Sil.

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    1. Non sei l'unica, ci ho messo tantissimo a scrivere questo post perché fissavo lo schermo e niente, non mi veniva una parola che fosse una, tutte prosciugate in un buco nero di sdegno senza fine.
      Spero (per loro) che crescendo si refino un po'. Se continuano così, sarà merda grossa per tutti.

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  6. dovevo proprio linkarlo: https://twitter.com/xcobainxx/status/316225214033825792

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